21 Giugno 2011
Le agromafie minano il futuro del Paese

     Il volume d’affari delle agromafie, ovvero delle attività della criminalità organizzata nel settore agroalimentare, ammonta oggi a 12,5 miliardi di euro (il 5,6% dell’intero business criminale). E’ quanto emerge dal Primo Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia realizzata da Coldiretti e Eurispes e presentato oggi a Roma.
     L’iniziativa, svoltasi a Palazzo Rospigliosi, ha visto la presenza del presidente di Coldiretti, Sergio Marini, e di diversi autorevoli magistrati: dal procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso a Donato Ceglie, della Procura della Repubblica di S. Maria Capua Venere, da Luca Palamara, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, a Raffaele Guariniello (Procura della Repubblica di Torino), fino ad Antonio D’Amato (Procura della Repubblica di Napoli) e Vincenzo Macrì (Procuratore Generale della Repubblica di Ancona).
     Presenti con il presidente dell'Eurispes, Gian Maria Fara, anche il Generale di Divisione della Guardia di Finanza, Luciano Carta, il Generale Cosimo Piccinno, dell’Arma dei Carabinieri, Giuseppe Peleggi, Direttore Generale Agenzie delle Dogane, Giuseppe Serino, Ispettore Capo del Dipartimento Repressioni Frodi Mipaaf, Giuseppe Vadalà, primo dirigente del Corpo Forestale dello Stato.
     Secondo i dati del Rapporto, del fatturato complessivo 8,8 miliardi di euro provengono da attività illecite (frode con appropriazione di finanziamenti comunitari, contrabbando, sofisticazione, contraffazione, caporalato, evasione fiscale e contributiva), mentre 3,7 miliardi arrivano da in reinvestimenti in attività lecite.
     Le attività criminali nel settore agroalimentare partono da un primo livello rappresentato da usura, estorsioni, abigeato e furti (in cui si registra un incremento nell’ultimo triennio di circa il 48%), per passare poi a un secondo livello con il controllo della manodopera (attraverso il caporalato) soprattutto di matrice straniera e clandestina, le contraffazioni alimentari (soprattutto nel settore degli oli), lo stoccaggio illecito di rifiuti e, in generale, il controllo del territorio per finalità proprie delle organizzazioni mafiose. Infine, il terzo stadio è costituito dal riciclaggio di danaro sporco, soprattutto quando la criminalità organizzata si è inserita in altri nodi strategici della filiera, come quello dei trasporti. Ma l’obiettivo ultimo di questo processo è il drenaggio illegale di fondi pubblici.
     Il tutto con gravi ripercussioni sull’economia e sulla società: concorrenza sleale verso gli imprenditori agricoli, perdita della qualità prodotti e dell’occupazione, anche a causa della delocalizzazione, omologazione dei consumi, capacità di manipolare i prezzi finali con danno per i consumatori.
     Ha concluso i lavori il presidente di Coldiretti, Sergio Marini, il cui intervento pubblichiamo di seguito.

     L’intervento di Sergio Marini
     “Il problema dell’Agromafia non tocca solo l’economia italiana, la sicurezza alimentare, i produttori e i consumatori, ma mina il futuro del Paese. Le attività criminali vanno a colpire le prospettive fondamentali di un Paese che deve oggi decidere quali sono le linee di competitività con cui pensa di confrontarsi in un mercato sempre più globale. La competitività si gioca dove si è diversi e migliori: cibo, cucina, agroalimentare, insieme alle cultura e alla creatività dei nostri giovani ci permetteranno di essere importanti anche nel futuro. Tutte le azioni che minano queste leve, che vanno a toccare la credibilità del made in Italy a tavola, minano il futuro del Paese. Al contrario, il valore immateriale dell’azione che tutti i giorni i produttori e il sistema della filiera compiono va nella direzione di sostenere gli interessi del Paese.
     Oggi non abbiamo invitato le forze politiche, alle quali però trasferiremo il rapporto con i suoi contenuti. Ho purtroppo l’impressione che questa centralità del sistema agroalimentare non sia in cima ai pensieri dei legislatori e troppe sono le prove che mi confortano in questa analisi. Basti pensare a quelle norme che potrebbero facilitare la messa a conoscenza dei processi produttivi da parte dei cittadini, a partire dall’origine e dalla trasparenza, come la legge sull’etichettatura obbligatoria. Spesso si invoca l’impossibilità di trasferire a livello comunitario quelle cose che abbiamo fatto o vorremmo fare a livello nazionale. Ma la verità è che non sempre c’è davvero la volontà di farlo.
     A volte, è vero, non ci riusciamo per problemi di autorevolezza. Quattro ministri in quattro anni non ci aiutano e non danno una buona impressione. Ma c’è anche problema di volontà, come dimostra la vicenda della legge sull’etichettatura d’origine che non si sta proponendo a livello comunitario. Ma anche altri comportamenti ci lasciano dubbiosi. Nel Rapporto si cita il caso Simest. Con quale autorevolezza e credibilità un sistema paese dice di voler combattere il Made in Italy fasullo nel mondo quando lo stesso Stato finanzia quelle imprese che producono italian sounding? Nel momento in cui abbiamo denunciato la vicenda mi sarei aspettato un intervento normativo per impedire che potesse ripetersi in futuro. Non mi risulta che sia successo.
     Ancora, in questi giorni si sta discutendo del fatto che su alcuni prodotti si ha l’origine ma di fatto l’etichetta è illeggibile e, nel caso dell’olio, è stata annunciata una norma in proposito. Pensavo che anche qui le dimensioni delle scritte si potessero cambiare senza dover ricorrere a un iter legislativo che richiamasse l’Unione Europea e, invece, si è scelta proprio questa strada sapendo che non si sarebbe arrivati a niente. Ciò mi fa pensare fino a che punto si voglia essere trasparenti, e lo stesso discorso vale per i dati delle importazioni di materia prima dall’estero. Perché non vengono resi pubblici? Insomma, sembra che, al di là delle grandi dichiarazioni, si è ancora soggetti a quella pressioni che la trasparenza non la vogliono. Non dimentichiamo che la stessa legge 203 fu denunciata in Europa dal sistema industriale italiano. E pure la Gdo, se volesse, potrebbe tranquillamente dividere tra prodotti italiani e non. Iniziative come la presentazione del rapporto sulle agromafie sono dunque importanti per portare l’opinione pubblica a farsi sentire su chi le leggi le fa.
     Da parte nostra, dei nostri produttori, del mondo che Coldiretti rappresenta, l’impegno continua, un impegno forte deciso e convinto che non si ferma alla denuncia ma punta a mettere in piedi qualcosa di più concreto e operativo per far sì che le cose cambino davvero. Il progetto attivato per una filiera agricola italiana va proprio nella direzione di accorciare la filiera per restringere gli spazi in cui la malavita si possa organizzare, trasferendo il valore aggiunto al consumatore e al produttore e contribuendo a svincolare quest’ultimo da quegli elementi di difficoltà che rischiano di farlo cadere vittima della criminalità. In attesa di definire la legge sull’etichettatura, il percorso di individuare un marchio territoriale collettivo che valorizzi agricoltura italiana è un contributo a tutela del made in Italy, nell’interesse non solo del settore agricolo e del consumatore, ma dell’intero sistema Paese”.

IMPRESA VERDE CAMPANIA – ENTE DI FORMAZIONE

LA FORMAZIONE

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  • IMPRESA VERDE CAMPANIA SRL è Ente di Formazione impegnato nel sostegno e nella promozione di una visione ampia ed elevata della Formazione Professionale, che tiene conto del cambiamento e delle trasformazioni della società e della comunità locale nella quale opera, programmando i propri corsi, in considerazione delle tendenze del mercato del lavoro territoriale e delle figure professionali più richieste.
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