Nell’ambito della 9^ Giornata dell’Economia, venerdì scorso la Camera di Commercio di Avellino ha presentato il “Rapporto Irpinia 2011 – Osservatorio Economico della provincia di Avellino”. Lo studio intende fornire un quadro esauriente che tiene conto dei principali indicatori economici della provincia, soffermandosi sull’andamento del PIL, sulle imprese registrate, sull’export, tasso di occupazione e disoccupazione e altro ancora. Il Rapporto è sicuramente la principale fonte di analisi per capire l’andamento e la tendenza dell’economia della Provincia irpina, basato com’è su dati scientifici rilevabili e reali, attinti direttamente dalla banca dati della Camera di Commercio. Ci preme qui esaminare soprattutto quello che dice il Rapporto riguardo all’attività agricola e al suo andamento nella nostra Provincia, anche se il tutto va comunque letto in un quadro più ampio e complesso che è l’analisi economica generale.
Il Rapporto rileva che il PIL ha ripreso a crescere, anche se a ritmi ancora molto blandi, ma a questo lieve miglioramento non corrisponde un altrettanto miglioramento nel mercato del lavoro, in cui prevale ancora il forte utilizzo di forme contrattuali flessibili e a tempo parziale, mentre cresce in modo preoccupante la disoccupazione di lungo periodo e quella giovanile. Per l’Irpinia l’Osservatorio economico presenta una situazione piuttosto complessa, in cui agli incoraggianti segnali che vengono dalla ripresa di competitività delle imprese sui mercati esteri e ad un rinnovato dinamismo imprenditoriale, corrisponde un mercato interno ancora piuttosto stagnate, per quanto riguarda la crescita del PIL e dell’occupazione. Nel 2010 è aumentato il numero delle imprese iscritte alla Camera di Commercio (+1,2% sul 2009). L’apertura di un’attività imprenditoriale, anche nel settore primario, rappresenta l’unico canale percorribile da un giovane che vuole accedere al mercato del lavoro e procurarsi un’opportunità per il futuro. A livello di ripartizione settoriale, in provincia di Avellino c’è una forte componente di esercizi commerciali (25%), seguita dai produttori agricoli, per lo più coltivatori diretti (24%), artigiani (15%), servizi alle imprese (7%). Cambiano le proporzioni se si prende in esame il valore aggiunto (la ricchezza) prodotta dai singoli settori, dove l’agricoltura rappresenta appena il 3,2%, mentre al terziario va ascritto il 74,5%. Per quanto riguarda le esportazioni, nel 2010 l’apparato produttivo irpino ha avuto un incremento di vendite all’estero del 9,5% rispetto al precedente anno. Questo balzo in avanti viene dai prodotti alimentari (+17%), da quelli agricoli (+15%) e altro. Nell’insieme la filiera agroalimentare supera i 250 milioni di euro esportati, rappresentando così il 30% di tutto l’export provinciale. Tale fenomeno può far bene sperare per il futuro della nostra economia, attesa la forte connotazione territoriale del settore agricolo e le eccellenze produttive che esso esprime. Il settore agricolo può sicuramente rappresentare un fattore di successo anche per le tematiche di valorizzazione e sviluppo del turismo. L’analisi settoriale dei prodotti alimentari mostra in primo piano la produzione industriale di pasta (+23% nell’anno) che rappresenta il 45% del totale comparto esportato, segue la frutta lavorata (+14% nell’anno, soprattutto ciliegie e castagne lavorate) con una quota del 20% del totale alimentare e poi l’olio (+16%) per una quota pari al 18%. In crescita anche l’export dei vini di qualità (+10%). Una novità assoluta nel comparto del food irpino viene dal settore ittico con quasi 10 milioni di euro di pesce importato e oltre 3 milioni di euro esportato.
Tralasciamo in questa nostra breve e sintetica analisi del Rapporto altri e interessanti indicatori presenti nello studio riguardante i diversi settori economici della Provincia a cui comunque rimandiamo per un’analisi più completa e puntuale.
E’ senz’altro positivo il dato riguardante il settore agricolo per quanto riguarda l’export (+30% sul totale di tutto l’export provinciale), ma in considerazione del fatto che sono maggiormente aumentate le importazioni dall’estero, occorre chiedersi: qual è stata la ricaduta di tale importante crescita dell’export agricolo sulle aziende produttrici della “materia prima” della nostra Provincia? I prezzi alla produzione continuano a diminuire e si hanno difficoltà a trovare mercati di sbocco remunerativi per le produzioni di base. Qual è il legame dei prodotti esportati con il territorio, con le produzioni locali? Cosa esportiamo e da dove proviene? Cosa fare per scaricare sulle imprese irpine parte del valore aggiunto che si realizza con l’aumento dell’export? Il prodotto italiano, locale, continua ad avere un grande appeal all’estero, ma si vende il marchio o il contenuto (vedi la vicenda Parmalat)? Domande a cui è urgente dare una risposta. Coldiretti l’ha data e sta lavorando per promuovere una Filiera Agricola tutta Italiana: una Filiera, dalla produzione al consumatore, Agricola, fatta dai produttori agricoli che ci mettono la faccia e la firmano garantendo la provenienza del prodotto (allo stato fresco o lavorato) dalle loro aziende (Italiana). Il settore agricolo sta acquisendo vitalità e dinamismo soprattutto grazie ai giovani che hanno deciso di investire in esso, dobbiamo creargli un adeguato valore aggiunto perché all’interno della filiera agroalimentare il settore produttivo non continui ad essere il parente povero, con una quota di valore aggiunto insufficiente ed ingiustificata. Il settore agricolo deve riappropriarsi del proprio ruolo, anche economico, all’interno della filiera, denunciando il doppio furto di identità e valore dei suoi prodotti a cui oggi sottostà.
Tante sono le riflessioni che ci stimola il Rapporto, ma un altro aspetto ci interessa toccare. Il contributo del settore alla produzione della ricchezza provinciale è “solo” del 3,2%. Riteniamo che oggi misurare il valore e la strategicità di un settore così importante come quello alimentare solo in termini di valore economico, di ricchezza finanziaria prodotta, sia ormai insufficiente e inattuale. Oggi bisogna parlare di BIL “Benessere Interno Lordo”, che comprende anche dei valori non misurabili e che attengono alla qualità complessiva della vita. E’ su questo parametro che l’agricoltura gioca il suo grande e insostituibile ruolo di generatore di benessere, cioè di rendere la vita più vivibile, più sostenibile, di creare ambienti accoglienti a disposizione di tutto il Paese, un valore immateriale difficilmente misurabile in termini esclusivamente economici. Occorrerebbe chiedere alle famiglie quanta domanda c’è di benessere, non solo economico, ma anche di valori ecologici, relazionali, di qualità della vita, di garanzia di ciò che si consuma, per dare sapore e gusto alla vita.
9 Maggio 2011
In margine alla Giornata dell’Economia