15 Aprile 2025
GIORNATA DEL MADE IN ITALY: INTERVENTO DEL PRESIDENTE DI COLDIRETTI CAMPANIA ETTORE BELLELLI ALL’AGENZIA AGI
Nel giorno in cui si celebra la Giornata nazionale del Made in Italy, la domanda che arriva dalla Campania è scomoda ma necessaria: che cosa resta davvero del nostro Made in Italy?
L’immagine resiste, il marchio tiene, ma dentro le filiere qualcosa si è spezzato. La materia prima arriva sempre più spesso da fuori: grano, pomodori, olio, basilico, frutta.
La trasformazione avviene in Italia, l’etichetta è tricolore. Ma è ancora italiano? Lo spiega chiaramente Ettore Bellelli, presidente di Coldiretti Campania: “Il problema nasce dalle regole europee. L’Italia ha restrizioni forti sull’uso di fitofarmaci, per motivi di salute e sicurezza. Non possiamo usare alcuni prodotti, e questo riduce la nostra capacità di produzione su molte colture fondamentali. Il pomodoro, il grano, l’olivo, la frutta: non ne produciamo più abbastanza”.
Le industrie, che devono continuare a lavorare, si rivolgono allora al mercato internazionale. “Arrivano prodotti da altri continenti, a prezzi bassi. Per esempio – dice Bellelli – il grano dal Canada. Lì viene trattato con glifosate nella fase finale, poco prima della raccolta. In Italia è vietato. E non c’è il tempo perché il residuo sparisca. Ma quel grano entra qui e finisce nei nostri prodotti”.
Una volta trasformata in Italia, qualsiasi materia prima assume status italiano grazie al codice doganale. “Così succede che il consumatore compra pasta, sugo, olio pensando di sostenere l’agricoltura nazionale, e invece sta acquistando prodotti realizzati con materia prima straniera. È tutto legale, ma non è trasparente”. Secondo Coldiretti, i prodotti più a rischio sono proprio quelli simbolo della dieta mediterranea: pasta, pelati, olio extravergine d’oliva. A questi si aggiunge la frutta a guscio, le pere, le mele, i kiwi.
“Oggi non siamo più primi produttori di kiwi – dice Bellelli – perché in Italia non si possono usare alcune molecole, mentre in Grecia sì. E quel prodotto ci entra in concorrenza”.
Le uniche filiere veramente protette sono le DOP e le IGP, che obbligano a usare esclusivamente materia prima raccolta in un territorio ben definito. “Ma non bastano a soddisfare le richieste dell’industria. Le industrie devono lavorare, ed è normale. Ma così si alimenta una filiera parallela che di italiano ha solo la bandiera stampata”.
Cosa chiede Coldiretti? “Tre cose: etichettatura obbligatoria dell’origine della materia prima su tutti i prodotti, anche quelli trasformati; principio di reciprocità con i Paesi extra UE – cioè che le merci importate rispettino le stesse regole di quelle italiane; e che se l’Europa concede deroghe sull’uso di certe sostanze, queste valgano per tutti, non solo per alcuni Stati membri”. Il rischio, conclude Bellelli, non è solo economico. “Se svuotiamo il legame tra prodotto e territorio, il Made in Italy perde la sua identità. E se usiamo materia prima estera per fare prodotti italiani, perdiamo anche la qualità che ha reso grande il nostro cibo. Il consumatore crede di comprare italiano. Ma molto spesso compra solo l’idea”.
Un’idea che vale, secondo i dati Coldiretti, 70 miliardi di export reale contro 120 miliardi di Italian sounding: il doppio. Numeri che raccontano bene quanto il mondo creda nell’Italia. Ma anche quanto sia urgente proteggerla, prima che sia troppo tardi.