12 Aprile 2014
Consumo suolo: in Italia si perdono 70 ettari al giorno

     Presentato dall’Ispra il nuovo report sul consumo di suolo, un fattore di rischio molto importante per il territorio italiano, particolarmente vulnerabile ad una numerosa serie di minacce causate proprio da questo processo di degrado. Pericolose conseguenze del consumo di suolo possono essere, infatti, fenomeni quali l’erosione, la diminuzione di materia organica (perdita di fertilità), la contaminazione locale o diffusa, l’impermeabilizzazione (ovvero la copertura permanente di parte del terreno e del relativo suolo con materiale artificiale non permeabile), la compattazione, la perdita della biodiversità, la salinizzazione, frane, alluvioni e la desertificazione, ultima fase del degrado del suolo.
     In virtù dell’importanza del suolo e della sua tutela nel nostro Paese, il report dell’Ispra ci offre uno scenario di dati a dir poco preoccupante: la ricostruzione dell’andamento del consumo di suolo in Italia dal secondo dopoguerra ad oggi, infatti, mostra una crescita giornaliera del fenomeno che continua a mantenersi intorno ai 70 ettari al giorno, con oscillazioni marginali nel corso degli ultimi venti anni. Si tratta di un consumo di suolo pari a circa 8 metri quadrati al secondo che continua a coprire, ininterrottamente, notte e giorno, il nostro territorio con asfalto e cemento, edifici e capannoni, servizi e strade, a causa dell’espansione di aree urbane, spesso a bassa densità, di infrastrutture, di insediamenti commerciali, produttivi e di servizio, e con la conseguente perdita di aree aperte naturali o agricole.
     A livello nazionale, la perdita complessiva di suolo è passata dal 2,9% degli anni ’50 al 7,3% del 2012, con un incremento di più di 4 punti percentuali ed in termini assoluti, si stima che il consumo di suolo abbia intaccato ormai quasi 22.000 chilometri quadrati del nostro territorio.
     Questi dati appaiono particolarmente preoccupanti proprio in funzione dell’importanza del suolo, che, ricordiamo, specie in un paese dalle connotazioni orografiche come il nostro, risiede nel fatto che si tratta di una risorsa naturale limitata, di fatto non rinnovabile, necessaria non solo per la produzione alimentare e per il supporto alle attività umane, ma anche per la chiusura dei cicli degli elementi nutritivi e per l’equilibrio della biosfera. E’ dal suolo, infatti, che ci arrivano cibo, biomassa e materie prime, ma questa risorsa funge anche da piattaforma per lo svolgimento delle attività umane, oltre a costituire un elemento del paesaggio e del patrimonio culturale e a svolgere un ruolo fondamentale come habitat e come riserva di patrimonio genetico.
     Il suo deterioramento, quindi, deve essere evitato ad ogni costo, in quanto comporta ripercussioni dirette ed irreversibili sulla qualità delle acque e dell’aria, sulla biodiversità e sui cambiamenti climatici, ma può anche incidere sulla salute umana e mettere in pericolo la sicurezza dei prodotti alimentari.
     Per l’importanza che riveste sotto il profilo socioeconomico e ambientale, quindi, il suolo e le sue funzioni devono essere tutelate rispetto a gravi processi degradativi causati, ad esempio, dall’errata gestione delle dinamiche insediative, dalle variazioni d’uso e dagli effetti locali dei cambiamenti ambientali globali, così come dalle scorrette pratiche agricole.
     Tornando ai numerosi ed interessanti dati contenuti nel report Ispra, prendendo in esame le ripartizioni geografiche, i valori percentuali di consumo di suolo più elevati si registrano nel Nord Italia. Ma, mentre nelle regioni del Nord-Ovest assistiamo ad una fase di rallentamento della crescita, nel Triveneto e in Emilia Romagna si mantiene un tasso di consumo di suolo elevato, dovuto principalmente alla continua diffusione urbana che si riscontra nella pianura padano-veneta. Se negli anni ’50 il Centro e il Sud Italia mostrano percentuali di suolo consumato simili, successivamente il Centro si distacca con valori in netta crescita, raggiungendo i valori medi nazionali che, nel complesso, presentano un andamento piuttosto omogeneo. I dati del 2012 ci confermano che in 15 regioni viene superato il 5% di suolo consumato, con le percentuali più elevate in Lombardia e in Veneto (oltre il 10%), seguite da Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia, dove troviamo valori compresi tra l’8 e il 10%.
     Ma quali sono le diverse tipologie di copertura artificiale che devono essere considerate come principali cause di consumo di suolo? La classifica vede in testa le infrastrutture di trasporto, che rappresentano ben il 47% del totale (28% dovuto a strade asfaltate e ferrovie, 19% dovuto a strade sterrate e altre infrastrutture di trasporto secondarie), seguono le aree coperte da edifici, che costituiscono il 30 per cento del totale del suolo consumato. Altre superfici asfaltate o fortemente compattate o scavate, come parcheggi, piazzali, cantieri, discariche o aree estrattive, costituiscono il 14% del suolo consumato. Il rapporto Ispra, inoltre, analizza anche la distribuzione spaziale del consumo di suolo, in base alla localizzazione in area urbana o agricola, all’altitudine, alla distanza dalla costa.
      Per quanto riguarda le aree agricole è certo che il consumo di suolo si accompagna nel nostro Paese alla perdita di ampie aree vocate all’agricoltura, in particolare nelle zone circostanti le aree urbane. I dati specifici relativi al consumo di suolo agricolo vengono evidenziati nell’ambito di uno spaccato del consumo di suolo per classe di uso che il report Ispra non manca di analizzare. Incrociando numerose fonti di dati, infatti, si giunge a stimare che il consumo di suolo è aumentato in tutte le principali categorie (aree urbane, aree agricole, aree boscate e semi-naturali, zone umide e corpi idrici), anche se con tassi di crescita differenti e che nelle aree agricole si è passati complessivamente dal 7,9% di suolo consumato nel 1990 al 9% nel 2006.
     Le categorie a vocazione agricola più colpite risultano essere le coltivazioni permanenti, i seminativi in aree non irrigue, i prati stabili e le zone agricole eterogenee (dove nel 2006 il suolo consumato è pari rispettivamente al 9%, 7,9%, 7,1%, 11,3%). Il consumo di suolo nelle aree boscate e negli ambienti semi-naturali, nel complesso, aumenta più lievemente nel tempo, passando dal 2,1% nel 1990 al 2,2% nel 2006.
     Interessanti anche le elaborazioni contenute nel rapporto (a cui si rimanda per maggiori approfondimenti) relative al consumo di suolo nella fascia compresa entro i 10 km dalla costa, nell’ambito della suddivisione tra pianura, collina e montagna, così come per le classi d’uso del suolo relative alle aree urbane, alle aree sportive e ricreative ed in aree particolarmente vulnerabili come quelle relative alla categoria “spiagge, dune, sabbie”.
     Per quanto riguarda i dati sull’uso del suolo a livello nazionale, il rapporto, inoltre, sottolinea come l’urbanizzazione degli ultimi 20 anni nel nostro Paese sia avvenuta a discapito principalmente dei suoli agricoli. Dal 1990 al 2008, in particolare, sono stati destinati a nuovo uso 12.626 km2 di territorio agricolo per far posto ad aree urbane e in minor parte ad aree forestali.
     Altre considerazioni utili potrebbero essere fatte a riguardo di un altro fattore di consumo di suolo, annoverato nel report con la denominazione di “sprawl” urbano” e cioè la diffusione di insediamenti a bassa densità dal centro urbano verso l’esterno. Si tratta di un espansione delle superfici impermeabilizzate, da attribuire in gran parte ad uno sviluppo urbano pianificato non adeguatamente, che si manifesta nella frangia urbana e peri-urbana di molte importanti città come una commistione di tipologie di uso del suolo.
     Nonostante la denominazione anglosassone del fenomeno, infatti, anche nella regione mediterranea molte aree urbane hanno progressivamente perso la loro storica compattezza evolvendo verso un assetto più diffuso, a causa di una mutata forma dell’espansione degli insediamenti residenziali e commerciali, e delle infrastrutture collegate. Ciò, in particolare, ha prodotto un sottile processo di semplificazione e impoverimento del paesaggio rurale, dovuto alla riduzione o scomparsa delle aree boscate, dei seminativi e dei vigneti, oltre a maggiori costi pubblici associati alla mobilità e alla fornitura e alla gestione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
     Lo sprawl urbano, quindi, tende ad eliminare la distinzione tra città e campagna, compromettendo sia la produttività e la valenza agricola che le caratteristiche naturali dell’area interessata, con elevati costi sociali, economici ed ambientali causati dalla perdita dell’originaria destinazione d’uso del suolo. Il report Ispra, a cui va anche il merito di aver saputo coniugare un livello di dettaglio tecnico elevato con un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori, prosegue con interessanti indicazioni e dati sull’impermeabilizzazione dei suoli e sulle modalità con cui questo fenomeno caratterizza le principali città italiane, concludendosi con un confronto della situazione italiana con quella di altri paesi europei.

IMPRESA VERDE CAMPANIA – ENTE DI FORMAZIONE

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