Con le importazioni di tartufo dall’estero più che raddoppiate nel primo trimestre del 2012 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno è importante tenere alta la guardia contro il rischio che prodotti stranieri di bassa qualità vengano spacciati per Made in Italy. E’ quanto afferma la Coldiretti, sulla base delle elaborazioni su dati Istat, nel commentare positivamente l’operazione condotta dai Nuclei anti sofisticazione che ha portato al sequestro di 300 chilogrammi di tartufi africani di specie molto comune e di nessun pregio che venivano trattati con oli e aromi sintetici e poi rivenduti a ristoranti e negozi come tartufo bianchetto italiano, pregiato tubero il cui valore di mercato oscilla tra i 180 e i 700 euro al chilo.
Nei primi tre mesi di quest’anno le importazioni di tartufo dall’estero - sottolinea la Coldiretti - sono passate a 4200 chilogrammi, quasi il doppio rispetto ai 2200 chili arrivati nello stesso periodo del 2011. Da qui la necessità di vigilare contro le truffe che mettono a rischio la salute dei consumatori e il lavoro dei veri tartuficoltori.
La raccolta in Italia - ricorda la Coldiretti - coinvolge decine di migliaia di professionisti impegnati, insieme all'amico più fedele dell'uomo, a rifornire anche negozi e ristoranti con tartufi che alimentano un business comprensivo di indotto stimato in oltre mezzo miliardo di euro per una specialità venduta fresca, conservata o trasformata. La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri - precisa la Coldiretti - svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive dove rappresenta una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore. Il tartufo - riferisce la Coldiretti - è un fungo che vive sotto terra ed è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell'albero con cui vive in simbiosi. Nascendo e sviluppandosi vicino alle radici di alberi come il pino, il leccio, la sughera e la quercia - spiega la Coldiretti - il tartufo deve le sue caratteristiche (colorazione, sapore e profumo) proprio al tipo di albero presso il quale si è sviluppato. La forma, invece, dipende dal tipo di terreno: se soffice il tartufo si presenterà più liscio, se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio.
In Irpinia due sono le principali aree di produzione del pregiato tubero: la zona dei monti Picentini e quella del Partenio.
Al tartufo nero (tuber mesentericum) è tradizionalmente abbinato il nome di Bagnoli Irpino, la ridente località in provincia di Avellino dove sono presenti numerose tartufaie e che rappresenta il centro campano più importante di commercializzazione. Il tartufo si raccoglie nel periodo invernale, da ottobre a marzo su tartufaie localizzate nella zona montana, dagli 800 ai 1500 metri sul livello del mare, del massiccio dei Monti Picentini, che comprendono la provincia di Avellino e di Salerno. È caratterizzato dal un peridio, o scorza, di colore nero con sculture poco rilevate, dette verruche, e dalla gleba, o polpa, con venature di colore bianco-grigiastre. Questa specie di tartufo vive in simbiosi con latifoglie e sempreverdi presenti nella zona montana, come il faggio o il pino nero.
Nelle aree tradizionali questo tartufo viene ricercato da almeno due secoli e mezzo, documenti recenti ne attestano l’uso fin dai tempi del re Carlo III Borbone. L’uso del tartufo nella cucina tipica era, fino agli anni settanta, venduto esclusivamente fresco, dopo la pulizia della scorza con uno spazzolino, per preparare la rinomata insalata di tartufo “alla bagnolese”, piatto di carattere da abbinare come contorno al pranzo delle feste natalizie, o i condimenti per spaghetti o penne aglio e olio, frittata o, addirittura, per la pizza. Oggi è possibile consumare il tartufo durante tutto l’anno nelle paste tartufate, confezionato sott’olio, o conservato in barattoli di vetro o di latta con acqua e sale, dopo pulitura e sterilizzazione in autoclave
Il tartufo estivo o scorzone, nome scientifico "tuber aestivum vittad." talvolta raggiunge dimensioni notevoli e si presenta molto simile al tartufo nero. La superficie esterna si presenta con verruche piramidali di colore bruno. Ha dimensioni variabili da quelle di una nocciola a quelle di una mela. Presenta un tenue e gradevole profumo, leggermente fungino. Può svilupparsi indifferentemente su terreni derivati dal disfacimento di rocce calcaree del Primario, del Secondario e del Terziario, e sui terreni eluviali e colluviali del Quaternario dalla pianura fino ai 1000 m s.l.m.
Tollera i terreni argillosi, superficiali e sopporta contenuti di sostanza organica elevati. Anche da un punto di vista climatico è meno esigente del t. melanosporum. Si adatta sia al clima mediterraneo, si a quello continentale e sopporta bene anche le basse temperature. Si può legare in simbiosi micorrizica con numerose piante, querce, carpini, noccioli e pini. Forma anch'esso pianelli, seppure meno evidenti di quelli del tartufo nero pregiato.
Ha un odore aromatico intenso, ma al taglio lo si distingue da quello nero pregiato, perché la gleba non diventa scura, ma tende ad un giallo scuro. Diffuso nell'area del Partenio, cresce sia in terreni sabbiosi che argillosi, nei boschi di latifoglie ma anche nelle pinete. E' molto apprezzato ed é utilizzato per la produzione di insaccati e salse. Il periodo di raccolta é da maggio a dicembre. Tra le sue aree di produzione in Campania, spicca la zona del Partenio.
20 Giugno 2012
Tartufi: raddoppia l’import, ma attenzione alle truffe